Recentemente, ha appeso le scarpette al chiodo uno dei giocatori che mi ha entusiasmato di più negli ultimi 20 anni di calcio. Juan Roman Riquelme. Storico ‘diez’ del Boca Juniors and ex stella di Villareal e Barcellona. Una figura che ha sempre trasmesso una certa allegria e spensieratezza vedendolo giocare. Un giocatore sopraffino, 'di tocco' lo definirei. Mai sopra le righe nei comportamenti e mai scorretto nei confronti di avversari e compagni di squadra. Un icona.
Viene, o meglio, veniva soprannominato 'El Mudo', poche espressioni facciali nel rettangolo di gioco, a parlare ci pensavano piedi e cervello. Un regista avanzato con una tecnica da Top del Top, e visione del gioco ancora migliore. Que falta? Che mancava allora? Mancava che era lento, e magari un po pigrotto. Secondo me, questo, era anche un suo grosso motivo di fascino e anche di fama. Oggi, con l’avanzare di nuovi campioni, molti soprannomi (un must in Sudamerica, se giochi a calcio e non ce l’hai, ma ‘ndo vai) vengono riutilizzati e affibbiati a calciatori che ricordano altri del passato. 'El Mudo' odierno sarebbe Franco Vazquez del Palermo, ottimo giocatore che per certi versi ricorda Riquelme, soprannome giusto.
Si ma perché proprio Riquelme? Lo faccio, per gratitudine a un giocatore che ha evidenziato in maniera marcata come in un calcio di velocisti e culturisti, chi ha la mente più veloce di tutti arriva sempre prima degli altri. Un elogio alla geniale lentezza, alla scaltrezza di vedere le cose prima, di sapere cosa succederà tra 30 secondi, come se raccontasse una storia che già aveva letto e già sentito. Questi sono i giocatori che mi hanno sempre affascinato. Chi corre con la mente e un po meno con i piedi, chi può permettersi di dimenarsi la metà degli altri perché far correre la palla non fa sudare nessuno, ma solo gli avversari. Taca la Bala, diceva Helenio Herrera, che la Bala non suda. È un dono che solo Dio può darti, non si allena e non si costruisce, si ha dentro al cuore e dentro al cervello. E
La lista di giocatori del genere è lunghissima e molti potete ammirarli ancora oggi ai massimi livelli del calcio Mondiale. Sono giocatori eterni che potrebbero giocare fino a 50 anni e riuscirebbero sempre a stupire, a strabiliare, ad arrivare prima.
Di Roman mi ricordo in particolare gli ultimi anni al Boca. Mi ricordo le annate in tandem con Martin Palermo, i continui tira e molla contrattuali (non ti ritirare Roman…e dai su) con la società alla fine delle varie stagioni, la punizione nel Super Clasico contro il River e la maglia del Boca col 10 che tengo orgogliosamente nell’armadio. Alla Bomboniera tutto era iniziato e tutto doveva finire secondo me. E invece, per stupire ancora, Roman ha voluto finire dove aveva iniziato a dare i primi calci ad un pallone da piccolo, e dove il più grande di tutti i tempi aveva iniziato, all’Argentinos Juniors. Riquelme è uno dei pochi calciatori a godere di una stima e una considerazione incredibile da parte di Diego Armando Maradona, il più grande di tutti.
Mi ricordo invece poco della sua epoca calcistica a Barcellona, una fase sfortunata della sua carriera, ma forse utile per potersi confrontare con i migliori. Per poi diventare uno dei migliori, subito dopo, col Submarino Amarillo del Villareal. Una favola che sfiorò la finale di Champions League nel 2006.
Ecco, la semifinale di ritorno tra Arsenal e Villareal di quella edizione della Coppa dei Campioni è il ricordo più nitido che ho di Riquelme. Ero ragazzo, e andavo a letto presto la sera perché la mattina partiva il bus per andare a Grosseto a scuola, ma le partite di coppa le guardavo tutte, minuto per minuto. E mi ricordo quel minuto come fosse adesso, andata ad Highbury, 1 a 0 per Wenger e soci con gol di Kolone Toure (ultimo partita di Champions giocata nel prato divinamente erboso di Highbury), ritorno a Villareal in un catino bollente di passione, pochi minuti dal termine, Jose Marì (madonnina santa...) cade a terra in area, e rigore per il Villareal. Riquelme, sul dischetto, un bacio ad occhi chiusi al pallone, fischia l’arbitro, piattone alla sinistra di Lehman che respinge e para.
Mi ricordo tutto ciò perché mi sentivo male per Riquelme in quei secondi, e vidi quanto può essere piccolo e debole un uomo di fronte a un calcio di rigore. Rimasi impalato alla tv a vedere la faccia di Riquelme come se fosse apparsa la Madonna. In pochi ricordano che, l’azione continuò dopo il rigore, e lui rimase impalato e immobile sul dischetto, a guardare il cielo. Surreale. Ci rimase per tutti i minuti i restanti e non toccò più palla da lì al fischio finale. Un dramma per il povero Roman e tutto il Villareal.
Ecco, questo è per me Riquelme: un ricordo adolescienziale, uno stile di vita, un icona, una faccia, un'espressione, un'immagine indelebile dentro di me, tutto molto più di un semplice calciatore. E questo è quello che mi rimane di un magnifico fuoriclasse che mai potrò dimenticare e mai ho potuto apprezzare abbastanza. Muchas Gracias Roman!