Nel pensare a cosa scrivere, alle volte, mi imbatto in discorsi e seghe mentali lunghissime che finiscono nel nulla e non portano a niente. Stavolta invece, c’ho messo poco, mi e’ bastato pensare all’uomo di gran lunga più importante della mia vita, mio babbo. E’ grazie a lui se oggi guardo partite, mi interesso di calcio e mi metto a scrivere qualcosa sul pallone.
Nel suo pensiero calcistico, c’è sempre stata una costante, un punto fisso, un’ossessione per certi versi preistorica. La paranoia di avere un uomo in campo che potesse essere l’uomo in più per la sua squadra, e in meno per gli altri. Il barometro e il controllore di tutto, il capitano senza fascia e l’insulto più grande alle tattiche moderne.
Se c’è infatti una cosa che il calcio moderno ci ha portato e ci dovremo sorbire ancora per un po, è l’ossessione e l’attaccamento forsennato a tattica, numeri e monotonia. Una moda che odio e che sempre più allenatori rincorrono in maniera forsennata per reggere lo stress e il peso dei risultati.
Tutta questa rivoluzione nello sport del calcio ha, purtroppo, portato via anche un’altra cosa, al tempo preziosissima, il ruolo del Libero nel calcio.
Un ruolo che per fascino e storia batte molti altri ruoli che reggono tuttora. Nessuno gioca più col libero, nessuno. Giusto così, ci mancherebbe, che il calcio vada avanti e che ci sia la new age a portare aria nuova.
Ma come dice il Cico Senior ‘Se molte squadre in serie A giocassero con il libero, pur avendo squadracce, si salverebbero sai, senza fare i ficoni con tre punte, che insieme non ne fanno una intera’. Parole sante per me, e che rientrano nella logica del conoscere i propri limiti, e tirare avanti. Anche questo, pensiero raro tra gli allenatori moderni.
Nel suo pensiero ci sono sempre stati tre personaggi, tre calciatori, diversi dagli altri. Persone prima, calciatori poi, tutti e tre Liberi di professione e con un attaccamento morboso verso la maglia e i tifosi. Mio padre ha sempre avuto una fede calcistica un po' strana, diceva di essere pseudo Juventino (per far casino, mi ha anche confessato una breve simpatia per il Toro) da piccolo, Genoano da adolescente, e Romanista da grande. Nell’ultima fase ho fatto tutto io. In queste tre squadre, e in epoche non tanto diverse tra di loro, hanno militato tre personaggi che hanno fatto la storia delle rispettive compagini e del ruolo del Libero nel Calcio Italiano. Gaetano Scirea, Gianluca Signorini e Agostino Di Bartolomei.
Se c’è una cosa che mio padre mi dice sempre, è che non esisterà mai una difesa forte come quella dell’Italia a Spagna '82. A fare da controllore, all’epoca, c’era il mai troppo rimpianto e apprezzato Gaetano Scirea. Libero dalla tecnica sopraffina e intelligenza scacchistica, personalità che si notava solo a guardarlo in faccia, e uno di quei calciatori che avrei tanto voluto veder giocare ai miei tempi. Come i veri Liberi che si rispettino, era l’ultimo difensore (mi perdonino i portieri) e il primo attaccante. Mai un cartellino rosso in carriera, mai uno screzio con un avversario e pochissimi gesti di stizza verso allenatori, compagni e arbitri. Non ci sono stati e mai ci saranno calciatori che possano sfiorare tale professionalità, classe e serietà tutte insieme. Fantascienza pura, un giocatore che se non fosse per quel tragico incidente in auto in Polonia, oggi sarebbe qui a raccontarci calcio e forse ad insegnarlo ai bambini. Incarnava a pieno lo stile di fierezza, vittorioso e sfrontato della Juve di un tempo fa. Mio padre ne era affascinato (chiamalo stupido…) e lo ha sempre ritenuto uno dei suoi calciatori preferiti, forse il miglior Libero che avesse mai visto giocare. Meglio Scirea di Platini, ricordatelo Giulio.
C’è una storia che non ho mai ben capito, ma penso di aver afferrato nel suo senso principale. Mio padre iniziò a lavorare in ferrovia all’età di 20 anni o giù di lì, e nella gavetta ferroviaria del tempo, era solito farsi Livorno Genova sul treno. Era un’altra Italia ed era un altro calcio. Le persone vivevano di calcio, andavano allo stadio in massa e provavano un amore viscerale per la propria squadra. C’era la radiolina, Sandro Ciotti, 90esimo minuto e la DS. E c’erano pure storie come quella di mio padre. A Genova, lo stadio Marassi si trova vicino alla stazione ferroviaria di Genova Brignole (Google Maps), e mio padre prima di tornare in dormitorio si fermava a vedere il Genoa di Scoglio prima e Bagnoli poi, dare spettacolo davanti alla Gradinata Nord.
Poche squadre in Italia, hanno la storia e il tifo del Genoa, e al tempo il Genoa faceva pure scintille. Era, agli occhi di tutti, una delle squadre più belle da vedere in Italia e in Europa. Skuravy, Branco, Pato Aguilera sono forse i nomi più conosciuti, tra i meno blasonati ci sono Gennarino Ruotolo, la Saracinesca Braglia e il Capitano Gianluca Signorini.
Un giocatore unico per certi versi, che prima di trovare consacrazione a Genova, ha dovuto girare tante squadre e squadrette. Appena lo vide, se ne innamorò (calcisticamente eh…) il Professor Franco Scoglio, anche lui, mai abbastanza apprezzato e ricordato. Capii che in quel ragazzo c’era la vera anima del Grifone e che doveva essere lui a guidarne squadra a difesa. Da Scoglio in poi fu un ascesa vertiginosa che vide in Signorini uno dei segni più marcati dell’anima Genoana nel tempo e del ruolo di Libero nella storia del calcio Italiano. Difensore molto fisico, e coriaceo. Faceva di grinta e stacco di testa le armi migliori. La cosa che più risale agli occhi vedendo le partite di allora, è la sua fame, la sua tenacia e il suo furore in campo.
Di questo Genoa si ricorda una partita in particolare, 18 Marzo 1992, Liverpool vs Genoa, Anfield Road. Al tempo, con il calcio di allora e il tifo di allora, vedersi (immaginate di giocarle…) due partite di Coppa Uefa, andata a Marassi e ritorno ad Anfield, penso fosse stato tanta roba. Personalmente, ho sempre considerato lo Stadio Luigi Ferraris di Genoa, uno degli stadi più belli d’Italia. Gradinate a picco sul campo, panchine vicine al campo e il calore nel pubblico che brucia i fili d’erba del manto erboso. Anfield, è la storia del calcio raccolta in uno Stadio, pochi altri discorsi. In quella sera di Marzo, è raccolta tutta l’anima genoana del tempo: partita stoica degli uomini di Bagnoli, con Braglia acchiappamosche, Signorini da 10 in pagella e doppietta di Pato Aguilera. 2 a 1 per il Genoa. Quello era il Genoa di Gianluca Signorini.
Alla parola Capitano, la mia mente va subito da Francesco Totti, e un secondo dopo va da Agostino Di Bartolomei. Mio padre non mi ha mai parlato tanto di lui, ma so che ne era grande conoscitore ed estimatore. Ago era un centrocampista, riadattato a libero di impostazione dal Barone Liedholm, con il quale vinse scudetto (uno fu scippato l’anno prima col gol-nongol di Turone), e perse finale di Coppa dei Campioni contro il Liverpool, in casa, a Roma. Queste sono cose facili da sapere e da scrivere, quello che è difficile spiegare, anche solo a parole, è chi era veramente Agostino Di Bartolomei. Alcuni lo chiamavano il Capitano silenzioso, schivo e compagnia bella, ma io non credo a queste fesserie. Era un uomo che amava in maniera carnale il gioco del Calcio e la Roma, professionista maniacale e genio del calcio giocato. Personalità fuori dagli schemi dell’epoca: niente fronzoli, vita mondana e soubrettes, ma solo sua moglie, suoi figli, e la Roma. Un uomo unico e grandissimo, che dopo quella maledetta finale non si è ripreso mai più, ed ha ricevuto sempre troppi no dalla vita. Questo era Ago.
Tempo fa, il presidente del Coni Giovanni Malagò, propose al presidente della Roma James Pallotta di intitolare il nuovo stadio (sempre che si faccia) della Roma ad Agostino Di Bartolomei. Ecco, secondo me questo non succederà (soldi, sponsor a trallalà), ma qualora la società romanista prendesse tale decisione, per molti tifosi e appassionati di calcio, sarebbe un qualcosa di inestimabilmente grande e riconoscente verso una dei giocatori che hanno fatto la storia della Roma e del Calcio in Italia.
Crudele dirlo, ma anche vero, la cosa che accomuna questi tre personaggi adesso, è il fatto che non possono essere più tra noi. Gaetano tra i resti di un incidente automobilistico in Polonia, Gianluigi stroncato dalla SLA, la Stronza (uno dei mille calciatori stroncati da questa orrenda malattia, causata dalle porcherie somministrate da medici e staff fisioterapici al tempo, una vergogna infinita) ed Ago ucciso da una pistola, da se stesso e dal Mondo del Calcio che gli aveva voltato le spalle.
Store belle e tristi allo stesso tempo, e che rimarcano ancora di più chi erano questi calciatori per mio padre e per tutti gli appassionati di calcio, e di vita, dell’epoca.