Celtic Uefa.

Ad un anno di distanza dal mio arrivo in terra Irlandese, a poche settimane dal mio primo vero San Patrizio, e nel giorno del mio primo Venerdì santo (interamente analcolico, incredibile, divieto di vendita di alcool in tutto il paese, per tutte le 24 ore del venerdi) in terra Irlandese, l’ispirazione mi ha preso una piaga decisamente Verde e decisamente Cattolica. Se c’è infatti un punto di contatto tra i miei gusti e le mie passioni calcistiche, e questa terra che oggi mi da lavoro, speranza e possibilità di guardare al futuro, questo è sicuramente il Celtic Football Club.

Sono tifoso Romanista, sfegatato, e in questo periodo, pure molto scoglionato, ma ho sempre (senza particolare motivo alcuno) simpatizzato e seguito le vicende dei Bhoys della Glasgow cattolica. Sia ben chiaro, nessuno legame religioso per questi colori, ma solo un fatto di preferenza e di attaccamento a quella che è, rimane e sarà per sempre, una delle squadre più gloriose nella Storia di questo magnifico Sport. A dirla proprio tutta e in maniera molto schietta, mi è sempre piaciuta molto la maglia del Celtic, bande orizzontali bianco verdi. Non so perché. Forse ero abituato a vedere le maglie a bande verticali in Italia, occupare i primi posti mentre io soffrivo nelle retrovie. O forse, perché quella maglia la indossavano (ai miei tempi) Larsson, Hartson, Sutton, Lennon, Lambert, Agathe, Douglas. Alcuni famosi altri meno. Idoli di un infanzia e di un calcio, che non ci sono più. 

Correvano i primi anni del nuovo millennio, 2002-2003 con precisione, e Tele Più offriva la possibilità di vedere la Premier League Scozzese sui canali del calcio estero. In Italia, si e no, saremo stati in 15 a vedere queste partite fatte di  'butchers’ tackles’, mischioni in area, attaccanti di 2 metri, fango e gomitate a volontà. Io ero uno di quei 15.

Ed ero felice, contento, me le godevo proprio quelle partite, con mio padre in sottofondo che mormorava  ‘Ma via Giulio, ma che guardi? C’è il Barcellona di là, metti quella via!’. Aveva ragione, ma al cuore non si comanda.

Quella squadra, il Celtic di Mister Martin O’Neill della stagione 2002-2003, mi entrò nel cuore, e se la mente non inganna, i giocatori erano più o meno questi:

In porta se la "scozzavano" due giganti: Douglas e Marshall. Su PES era titolare Marshall che quella stagione non giocò mai, giocò Douglas invece, quasi tutte le partite (tolte le coppette nazionali, forse). Uno dei portieri più forti della storia del calcio Scozzese. Il terzo era lo svedese Hedman, che anni dopo venne pure a giocare ad Ancona, nella fugace comparsa della squadra marchigiana in Serie A. Insieme al Magico Marione Jardel! Mamma Mia!

La difesa si basava su: poche chiacchiere, tante botte e pedate, marcature asfissianti e coltelli tra i denti per 95 minuti. Bobo Baldè, Johann Mjallby, Valgaeren, un giovane Stanislav Varga, e il veterano Jackie Mc Namara. Tutto veniva retto da Balde e lo svedese Mjallby, che fisicamente e atleticamente mettevano paura solo a guardarli, ed erano adattissimi a un tipo di squadra che non andava per il sottile. In più, segnavano anche qualche golletto.

Chiavi del centrocampo a due idoli del calcio di oltre manica, Paul Lambert e Neil Lennon. Semplicemente magnifici insieme. Paul Lambert era completo, impostava e rompeva nel mezzo, in pochi sanno che ci vedeva poco e che stava per essere scartato nell’Academy del Celtic. Quella stagione fu il capitano e la guida da seguire per tifosi, compagni e allenatori. Pochi anni fa è succeduto a Martin O’Neill alla guida dell’Aston Villa.

Neil Lennon era troooppo forte! Nord Irlandese cattolico (si contano sulle dita di una mano), scovato in chissà quale pub di Belfast, altezza da gnomo e piedi da giocatore di calcetto. Dinamismo da trottola e una grinta che, in vita mia, ho visto solo a Rino Gattuso ai tempi d’oro. Ha fatto pure l’allenatore a Celtic Park (Mjallby era il secondo, tutto torna…), avendo non pochi scontri con tifosi, allenatori e giocatori dei Rangers.

Ancelotti, al tempo, alla domanda ‘In quale giocatore di rivedi oggi Carlo?’, la risposta: Neil.

Sulle ali i titolari erano il velocista Didier Agathe e il mai troppo apprezzato Alan Thompson. Vedere giocare quest’ultimo era bellissimo, magnifico. Si sa, in scozia difficilmente crescono fenomeni o calciatori con tocco di palla sopraffino. Alan lo era, destro e sinistro. Calciava tutte le punizioni e calci da fermo della squadra, e giocava con la mensola sotto il mento, sempre a testa alta. Mi entusiasmava sempre vederlo crossare e illuminare il gioco di una squadra priva di un vero fantasista. Tra gli altri c’erano il giovane Shaun Maloney (che gioca tuttora, penso al Wigan) e Stilian Petrov.

Ecco, Stilian Petrov, lui quella stagione la giocò da protagonista. Aveva poco più di 20 anni e diventò presto uno degli idoli del Celtic Park. Ha giocato fino a pochi anni fa, fin quando non gli è stato diagnosticato un malaccio grave, che ha costretto il Bulgaro alle scarpette al chiodo. Quando è tornato per la partita di tributo a Celtic Park, tutto lo stadio gli ha dedicato ‘You’ll never walk alone’ e lui era in mezzo al campo insieme ai suoi bambini piccoli. Una scena da brividi!

Davanti, erano in tre. Prima ne dico due, poi dico l’altro

Il minatore John Hartson e Chris Sutton. Sono particolarmente legato al primo per il suo stile di gioco inconfondibile: peso sopra i 100kg, pinta in mano, gomito alto in aera, tecnica da mezzapunta, agilità da sagra del Maccherone e temperamento da Minatore Gallese. Era un minatore si, e fu scovato da una squadretta inglese prima, e dall’Arsenal poi (eh si, proprio Highbury, Wenger e Henry, quella roba là) in una partita del dopolavoro minatorio. Anche lui, e mi piange il cuore a dirlo, afflitto ultimamente da un tumore ai testicoli, che sembra aver sconfitto. Persone del genere rimagnono immortali, non muoiono mai, e sono più forti di tutto. Forza Big John!

Poi c’era Larsson, Henrik Larsson. Henke. The King of Kings. Il numero 7. Uno dei mie idoli da sempre, una leggenda vivente del calcio svedese e Celtic’ish. Era fortissimo, veramente fortissimo. Completo di tutto ciò che un attaccante possa avere. Faceva gol in ogni modo, e faceva assist in ogni modo. Giocava per la squadra, senza lamentarsi mai con nessuno e alla fine dell’anno il bollettino segnava sempre più di 25 gol in referto. In una stagione fece più gol che presenze. Sottovalutassimo pure quando andò al Barca. La Coppa dei Campioni a Parigi contro l’Arsenal, la vinsero tanto grazie a lui, che entrò a partita in corso e fece assist a Belletti ed Eto’o. 2 assist. 2 pallette davanti al portiere. Lui decise quella partita e lui decise quella stagione per il Celtic: tripletta con tanto di pallonetto ai Rangers nell’Old Firm e con doppietta in finale di Coppa Uefa, persa ai danni del Porto di Mourinho. Quando vivevo in Svezia provai ad incontralo ma non ce la feci. Per me, sarebbe come vedere la Madonna.

Ecco cosa vuol dire avere una squadra con te, in cameretta, a 15 anni.

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